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Matilde

gambe

La mia ragazza si chiama Matilde. Matilde ha la pelle color indaco. Io, indaco, non sapevo che colore fosse prima di conoscerla. Indaco non sapevo che fosse un colore prima di conoscere Matilde. Non conoscevo nessuna dalla pelle color indaco prima di conoscere Matilde.

Matilde abita sopra un albero di gelso, uno di quegli alberi col tronco basso e grosso e mille rami e foglie verdi e larghe. Matilde abita sul ramo più grosso di un albero di gelso, a due metri dal suolo. Matilde, i bachi da seta e i gelsi, i frutti, stanno lì, con Matilde, bianchi o neri o rossi, stanno lì finché non maturano e cadono o vengono mangiati dai bambini-bocche-sporche-lingue-nere  nelle scorribande d’estate.

Matilde, che è la mia ragazza, ha i piedi scalzi e quando scende sulla terra cammina dritta e veloce sulle punte, addosso i vestiti della primavera anche nelle stagioni sbagliate. Rosso corallo e oro, blu oltremare, bianco e glicine, vestiti che stanno su con due fili, come una tenda gonfiata dal vento, a ricamare onde sui piccoli seni. Matilde la scalza.

Matilde bussa alla porta di casa, la notte, e dice che ha fame. Io le do da mangiare e poi lei si addormenta sul divano e io torno a dormire e la mattina non la trovo più e non la sento mai uscire di casa perché lei è scalza e leggera e non fa rumore. Matilde la trovo alle feste della semina e del raccolto e a quelle dei santi, al paese, la trovo dove ci sono i banchetti dei dolci e delle noccioline e le illuminazioni. Matilde parla con tutti, conosce e carezza tutti e li bacia e tutti la guardano, le offrono il vino e i panini con la salsiccia e la toccano e le vogliono bene. Matilde è la mia ragazza, penso, e sono contento che tutti le vogliano bene.

Stanotte piove e Matilde è scesa dall’albero ed è rannicchiata sul mio divano, le gambe al petto, guarda fisso il vuoto e sembra assorta nei pensieri lontani e il rumore della pioggia sul legno della veranda la fa bellissima. Quando finisce la pioggia, Matilde mi carezza il viso con una mano e va via. Mi meraviglio sempre di come non lasci traccia sulla terra bagnata tanto è svelto e leggero il suo passo. Matilde la foglia.

Altre lunghe sere d’estate e notti di pioggia son passate. Io con Matilde, il tè coi biscotti, le mani e le facce con le carezze, e i campi da attraversare con lo sguardo seguendo la sua schiena dondolante che si allontana. La seguo con gli occhi andare verso il bosco, perché le gambe non son ferme e la terra mi fa resistenza sotto i piedi e i cespugli mi sbarrano il passaggio. Matilde, alla mattina, è un fantasma, un sogno, un ricordo. Matilde la fata.

Piero, il secondino mio amico, mi ha chiamato: “Vieni, c’è una visita per te. L’avvocato Lanzani”. Lanzani è il mio avvocato. Dice che mi tirerà fuori da qui. “Non ti preoccupare”, vorrei dire io all’avvocato, “che già lo fai, lo fai tutte le notti, tutte le notti degli ultimi tre anni”. Io non glielo dico, però, a Matilde Lanzani. Matilde-pelle-color-indaco che tutte le notti mi porta in giro.

(foto originale di jodm82)

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P.s: questo è il primo di tre racconti scritti per il Blog di Grazia, che mi ospita come blogger della settimana (e che ringrazio sentitamente nella persona di Daniela Losini). Questa roba qui e quella che seguirà è stata scritta/pensata nel giugno di quest’anno, in una breve vacanza in Puglia, mia terra natia. Oggi, probabilmente, non la scriverei. Sicuramente non la scriverei così, ma questo è normale. Allora c’erano suggestioni diverse e “la capa” girava. La capa girava parecchio per alcuni scrittori, per donne, per la necessità di posare un po’ le ossa al caldo della sabbia del mio mare. Volevo scrivere di passioni criminali, di sud, di uomini e donne istintivi e primordiali, di suggestioni venute dal passato, di quando ero ragazzino e si girava per i campi dopo la scuola. Rileggendo oggi, scriverei di tutt’ altro, ma in quei giorni lì questo era quello che sentivo.

Buon giugno.

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