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Il mio cane era un signor cane

In tivì, l’altra sera, c’era uno scrittore. Gli scrittori che vanno in tivì sono tutti scrittori famosi. Lo scrittore che era in tivì l’altra sera non sembrava per niente uno scrittore. Non che gli scrittori debbano sembrare per forza scrittori, ma questo non assomigliava neanche lontanamente ad uno scrittore. Lo  scrittore che era in tivì l’altra sera sembrava piuttosto un attore. Lo scrittore che sembrava un attore mi è parso potesse essere, dalla faccia, uno scrittore americano. Si notava però, dello scrittore che sembrava un attore, il gusto tipicamente europeo nel vestire. Di quello scrittore che era l’altra sera in tivì mi hanno colpito soprattutto le scarpe, che non penseresti mai su uno scrittore americano, ma su un attore americano sì. Lo scrittore americano, che sembrava proprio essere un divo del cinema americano, pareva essere completamente a suo agio di fronte alle telecamere, proprio come lo sarebbe stato un attore americano. Lo scrittore, che era molto bello e consapevole della sua bellezza, rispondeva lentamente ed ironicamente alle domande, dispiegando sapientemente nell’obiettivo charme e dopobarba. La mascella ferma e squadrata dello scrittore americano, quella sì, tipicamente americana, dava solidità mascolina al suo profilo facendolo assomigliare fortemente ad un divo del cinema americano.

Mentre lo scrittore americano che sembrava un divo del cinema americano parlava, pensavo che il nome di quello scrittore mi fosse familiare e vicino come nessun altro scrittore o divo del cinema prima di lui, più del Charles Bukowski di Pulp o del Robert De Niro di Toro Scatenato.

Io non ricordo quasi mai con assoluta precisione i nomi degli scrittori, anche di quelli famosi, e ancor meno ricordo con assoluta precisione i nomi degli attori, anche se sono molto famosi, anche se sono molto più famosi degli scrittori famosi, tranne qualche piccola eccezione.

Quello scrittore americano, che pareva un divo del cinema americano, possedeva però una familiarità senza origine, come se fosse sempre stato incastrato nella mia vita, come il ricordo del cane che possedevo da bambino. Mentre lo scrittore americano che pareva un divo del cinema americano parlava del suo ultimo libro, quelle parole, con buona pace della sua mascella, delle sue scarpe, della sua giacca dal taglio sartoriale europeo e anche del suo dopobarba, mi premevano poco. Quello che mi premeva veramente in quel momento era ricordare il perché di quella vicinanza senza fondo. Mentre mi premeva questa cosa e sforzavo la testa affinché questa cosa premesse un po’ meno, alla fine, il perché di quella prossimità mi è balenato alla mente proprio come il ricordo del cane che possedevo da bambino. Wolf si chiamava, ed era un pastore tedesco. Insieme al ricordo del mio cane, che era un signor cane, un cane tipicamente europeo, mi è venuto anche in mente il motivo per cui il nome di quello scrittore americano mi fosse così familiare.

Ricordai improvvisamente che anni fa mi trovai, durante il periodo delle vacanze estive, su un’isoletta del Mediterraneo in compagnia di un certa ragazza. Io e questa ragazza, che era molto bella, decidemmo di passare le lunghe giornate marinare impegnandoci pigramente, tra le altre cose, a leggere insieme un libro. Ora non ricordo di preciso come fu presa quella decisione ma, probabilmente, fu una di quelle azioni oscure che acquistano senso solo perché son state realizzate. Io e quella ragazza molto bella avevamo gusti di lettura e di vita abbastanza differenti e così, per non fare torto a nessuno, invece di scegliere gli autori o i generi letterari a noi più graditi, acquistammo un libro a caso al primo chiosco di giornali che incontrammo sulla strada per il mare. Decidemmo per un libro di cui ci piacque molto la copertina e il titolo. Quest’ultimo non lo ricordo ma la copertina, di contro, sì. Quel foglio spesso più degli altri era dominato da un fulmine che baluginava tra nuvoloni plumbei e compatti e si allargava come i rami di un albero di luce piantato al contrario nel cielo. In prospettiva, a partire dalla base corta del tomo, una strada tortuosa si faceva largo tra andirivieni di colline d’erba elettrica fino a congiungersi con il punto d’impatto del lampo sulla terra. A lei era sembrato un panorama fantastico, fresco ed autunnale, molto indicato per rinfrescare l’arsura di quel promontorio bruciato dal sole.  A me era piaciuto soprattutto perché ricordava la copertina di Ride the Lightning, il secondo disco in studio dei Metallica.

Arrivati in spiaggia, dopo aver piantato l’ombrellone e fatto il primo bagno, ci stendemmo al sole sui nostri teli, l’uno vicino all’altro, e la ragazza molto bella prese a leggere il libro ad alta voce. Venne così a crearsi la consuetudine per cui a leggere il libro  fosse sempre lei e ad ascoltare fossi sempre io, proprio come succede per le favole con i bimbi. Lei aveva una voce morbida, da giovane maestrina elementare, e il suo timbro fluttuava giusto e lento sopra lo schianto delle onde sulla battigia. A lei piaceva leggere e a me piaceva ascoltare e non mi opposi a quel comodo incedere delle ore condivise. La vacanza proseguì così tra spiagge e letture. Io spesso mi addormentavo, stretto tra il mare e da quelle parole che si inseguivano mordendosi la coda. Continuammo così per tutto il tempo e per tutti i giorni della nostra permanenza sull’isola.

Alla fine della vacanza, giunto il momento di tornare verso la terra ferma, quel libro finì in fondo alle valigie e poi chissà dove. Di quella lettura, o meglio, di quell’ascolto, del contenuto di quel libro, della trama, dei personaggi e di tutto il resto posseggo un vago ricordo. Quello che ricordo con precisione, invece, è l’impressione della dolcezza con cui quella voce mi gettava nel buio di un sonno placido, scuro e sereno come mai ebbi la fortuna di provare in seguito.

La storia tra me e la bella ragazza durò il tempo di quell’estate, di quella vacanza su quell’isoletta del Mediterraneo e, si può dire, della lettura di quel libro.

L’altra sera, in tivì, vedendo quello scrittore americano che sembrava un divo del cinema americano, ho avuto la certezza che l’autore di quel libro fosse lui. Fu così che l’altra sera, mentre guardavo la tivì, mi sono ricordato di quell’estate, della bellezza di quella ragazza, della dolcezza della sua voce, della tranquillità del mio oblio. Quel pensiero improvviso e inaspettato mi ha riempito di felicità, sul divano.

Dopo alcune ricerche per trovare il titolo del libro, ho scoperto che quello scrittore americano che sembrava un divo del cinema americano, non aveva mai scritto nulla con un fulmine e una strada sulla copertina e io non ci sono rimasto neanche troppo male perché lo so, con i nomi degli scrittori, degli attori, con i titoli dei libri e dei film, non sono molto bravo. Con i titoli degli album musicali, invece, sono un drago.

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Per la cronaca: 1) lo scrittore in tivì era questo, 2) il libro che “ascoltai” quell’estate era invece questo, 3) la copertina di Ride the Lightning è così, 4) il mio pastore tedesco aveva dieci modi diversi di abbaiare divisi per tipologia di losco figuro in avvicinamento e distingueva tra bipedi, mezzi a quattro ruote e motorini, 5) la foto in testata illustra come dovrebbe essere un classico nodo di cravatta da scrittore.

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