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La domenica a Milano

– Ma tu scrivi?

– Scrivevo. Ma che ne sai tu?

– Ho trovato il tuo blog.

– Ah, pensavo di averlo tolto dalla circolazione.

– E invece no. Beh, scrivi o scrivevi bene, cioè, per essere un programmatore.

– Guarda che i programmatori devono scrivere bene per contratto.

– Sì, vero.

– Certo che è vero.

– Sempre modesto tu.

– Sempre.

Sono solo le quattro di pomeriggio di una domenica milanese come solo la domenica milanese sa essere, coi turisti scollati sul naviglio, gli spritz-campari, il mercatino, il tempo incerto che ti tiene ancorato alla città ma col pensiero per le estati del sud, per il cibo dell’estate del sud e per il mare freddo della mezza stagione.

Passano altri turisti, altri spritz, qualche prosecco e un saluto sbagliato alla fermata del metrò che non sai mai come comportarti in questi casi ed è ancora presto e c’è stranamente il sole e c’è il tempo di rubare della vita a questa città che non te ne regala ed è un attimo che finisci sotto un ombrellone striminzito coi tavoli verdi di plastica da giardino e sedie verdi di plastica da giardino e si sta tutti pressati, i due che giocano a carte, le due che ascoltano quello che dice il tavolo di fianco, gli altri due che si fanno i fatti loro, l’americano, il negroni e inizia a piovere e inevitabilmente qualcuno si deve bagnare perché non ci si sta tutti quanti sotto l’ombrellone striminzito e inizia a calare la sera, ed è sempre un momento molto suggestivo e romantico e si cede sempre un po’ alla nostalgia (la domenica è essa stessa la nostalgia!) e allora col telefono, di nascosto, torni al tuo vecchio blog, a quello che non aggiorni da anni e ci trovi dentro come una foto della tua vita con le stagioni scandite perfettamente, le persone che entrano e quelle che escono, gli amori finiti e quelli che stanno per iniziare, le tristezze di Perugia, le tristezze di Milano, il sud Africa, che non è triste per niente, la cameriera brasiliana del Woostock, molti vestiti di donna, colori, odori, anche i libri che hai letto perché qui la metrica, la punteggiatura è dell’umido Izzo mentre qui c’è tutta l’arroganza di Hemingway e in questo tratto l’apatia di Carver e poi c’è lei e pensi figo! è come Instagram ma senza la pubblicità.

P.s. : Grazie A. per lo spunto.

Photo: Marco Trovò

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