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Quel diavolo di un bloggher!

Quel Divaolo di un Bloggher

E’ inutile far finta di niente. Son scostante, traballante, inconsulto. Questo blog n’è la prova provata, l’ennesima, non l’ultima. Partire come un razzo, con idee illuminanti, pomposità nelle intenzioni e sfarzo nelle soluzioni decorative per poi ritrovarsi stanchi, debilitati, in definitiva un po’ rotti di coglioni dovo pochi giorni. Sapevo che era difficile, ma non pensavo così tanto.

Aveva capito tutto la co-relatrice della mia tesi di laurea, una vecchia bisbetica abbastanza rinsecchita, una matta che ho incontrato una sola volta in vita mia, due includendo la sua accidentale presenza in commissione durante la discussione della tesi. Questa cosa, quella della sua niscenza della mia personale ontologia mi ha meravigliato, e allo stesso tempo spaventato non poco.

Quel giorno, quello della discussione, quello con la mia famiglia venuta in viaggio premio dalle Puglie, vestita a festa, quello con gli amici alcolizzati già alle 10 del mattino, quello in cui la macchina fotografica appena comprata smette immediatamente di funzionare, quel diciassette di luglio dal caldo boia, quel giorno insomma in cui smetti di essere felice, per sempre, ella, la vecchia, me lo disse.

Lo fece, opportunamente, dopo l’aspra diatriba dai toni forti e scarsamente accademici tra il mio relatore e lei, ingenerata non ricordo più da quale dettaglio del mio lavoro, che probabilmente fu solo un pretesto per coprire anni di dissapori e screzi reciproci, e che in definitiva mi costò la lode.

Me lo disse quando tutto fu finito, dopo il rito della premiazione con le vallette, la stretta di mano alla commissione, la ola del pubblico, il taglio della cravatta etc…

Volli essere, in quell’istante, forse ancora scarsamente lucido per l’emozione e lo stress, latore di un gesto distensivo e pacificatore verso l’essere strano che sino a pochi minuti prima si ergeva, con le sue domande a trabocchetto, a mio più acerrimo nemico e la invitai, la vecchia, a bere qualcosa al bar della facoltà per festeggiare il lieto risultato, pur consapevoli entrambi del fatto che ella avesse remato contro come i fratelli Abbagnale che stanno per essere risucchiati dal respiro affannato di Galeazzi in piena telecronaca olimpica.

Il mio gesto, ripensandoci, fu frutto di quell’umiltà di chi infondo aveva vinto, aveva combattuto contro le avversità e ne era uscito a testa alta ma al contempo si dimostra sprezzante, tipicamente, giovanilmente altezzoso, insofferente e voglioso di dimostrare il proprio valore e la propria diversità, pregno delle personali e assolute convinzioni su come dovrebbe essere il mondo, convinzioni frutto di anni di riflessioni derivanti dall’assunzione di sostanze psicotrope, paste al tono fredde e interminabili attese del 30 notturno sulla Prenestina.

Il mio, alla fine dei conti, voleva essere uno slancio caritatevole volto a gettare un ponte tra la vecchia generazione di affranti ex-sessantottini e il nuovo substrato sociologico di scafati individualisti-massificati-virtuali quali era ed è la nostra generazione.

E’ in questo contesto filosofico, culturale ed ambientale che deve essere calata, per capire appieno la portata rivoluzionaria del messaggio celata nella risposta che ella ebbe il coraggio di far seguire al mio invito, e che ho ancora stampato fresco nella mente, alla stregua di come si terrebbero a memoria le ultime parole del Boskov allenatore, e che suonavano così:

Or bene, la ringrazio, accetto volentieri un succo, sebbene devo dirle che lei è il Diavolo.”

Quel suo tono pacato, irriconoscibile dopo l’accesa discussione di poc’anzi, quella sua assoluta certezza mi fecero trasalire, ancor più ne fu colpita mia madre, che era a qualche passo e ascoltò tutto. Lei, mia madre, lo aveva sempre pensato, che io fossi di natura luciferina, per via delle pene che le ho fatto passare quando ero un pargolo, ma sentirselo dire da una sconosciuta beh, fece un certo effetto anche a lei.

Ne volli sapere di più e la discussione continuò al bar, tra un prosecco e l’altro, anche se ella, la vecchia, mi spiazzò nuovamente rifiutando il succo che avevo ordinato, memore della sua sibillina frase, attaccandosi, come avrebbe fatto un qualsiasi gregario dopo la vittoria del tappone di montagna al Giro d’Italia, alla canna della bottiglia di Valdo Magnum da tre litri presa per l’occasione.

Ella, la vecchia, ci tenne a precisare che la sua affermazione, seppur un po’ forte, non doveva ritenersi offensiva in alcun modo e che non era dettata, come invece sosteneva fortemente mia madre, da una analisi fisiognomica della forma del mio cranio rasato e scheggiato, dalla barbetta a punta con cui mi ero presentato quel giorno, e dai diversi piercing alle orecchie, ma da una profonda conoscenza etimologica delle parole “diavolo” e “diabolico”.

In greco _DIÀBOLO_ da _DI_ÀBALLO, ci spiegò, tra le sue accezioni significative annovera quella di “colui che è diviso” o di “colui che divide” quindi, essere diabolici, per l’oramai ciucca professoressa, voleva amabilmente dire, e qui ritorniamo al nostro discorso iniziale, essere inquieti, scostanti nelle proprie decisioni, multipli, frenetici, mai soddisfatti di quello che si sta facendo, sempre in cerca di qualcos’altro, di qualcosa di nuovo da fare.

Ebbene, la vecchia aveva ragione, e io lo sapevo già da allora, mia madre ancor da prima, ma non volevo ammetterlo. Ora posso dirlo: “Non sono cattivo, sono solo un bloggher diabolico.” Quindi, cercate di perdonarmi se non scrivo spesso, sarò impegnato a fare altro.

Ora vado, devo dare da mangiare al mio caprone nero.

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