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Omèro paziente

Per me ci possiamo rilassare. Parlo per me, ma forse anche per te. Poco o nulla ha a che fare la ragione con noi. Possiamo mettere a riposo il cervello mentre le mani cercano le tue costole esposte e le braccia esili, la mia barba, il mio naso. Ma se facessimo l'amore ci toccheremmo ancora così? In pubblico? Davanti a tutti? No, ti ho risposto. Ma intanto è quello che abbiamo. Passione irrisolta e esibita come un Cristo crocefisso, una processione di santi, il pesce sulle bancarelle del piccolo porto quando i pescherecci tornano dalla notte di lavoro, così pariamo io e te insieme, una occasione persa, un groviglio di reti sulla banchina, professionisti nel rubare spazio alle assi di legno sospese in penombra, artefatti buoni per poggiare i nostri corpi dondolanti che si avvicinano in una pendenza obbligata dalla fisica dei gravi, benevola amica a favore del desidero, basculanti sincroni di orologi che segnano ore diverse, di posti diversi. Eppure, in qualche modo, abitanti delle stesse civiltà che ci hanno dato i natali, il Mediterrano e gli extra-mondi, ci si ritrova, Ulisse e Penelope, in un giro di astronave tra Orione e Cassiopea e anche noi, come archetipi del peregrino vagare, avremmo bisogno di qualcuno che scriva la nostra storia, un Omero paziente, che ci venga a cercare dove ci siamo nascosti perché io, alla fine, mi sono perso, e non ho intenzione di tornare.