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Saper far niente

Non ho alcun talento. Nel senso che non eccello in alcunché in particolare. Se potessi dire di aver un particolare talento sarebbe quello di non averne. Nel senso che sono discretamente bravo a cavarmela in molte situazioni; le più diverse tra loro. Me lo dice anche la gente. A ben vedere, questo è un talento perché non averne uno vero in particolare, un campo dello scibile umano in cui esprimi una certa maestria, ti permette di barcamenarti con relativa soddisfazione in molteplici situazioni. Per dire, non sono bravo col bricolage, con la meccanica, l’elettronica o l’idraulica. Se smonto delle cose, quando le rimonto, può essere che avanzi un pezzo. Un pezzo poco importante, ai miei occhi, una vite, un giunto, uno spessore. A volte, dopo averle rimontare sghembe, le cose funzionano, a volte no. Le cose che funzionano anche senza quel pezzo lì son cose fatte bene, cose che se la sanno cavare. Le cose che non funzionano senza quel pezzo magari son cose che prima erano perfette, cose con talento che poi si perdono appena le squilibri un po’.
Io preferisco lo squilibrio alla perfezione.
Da ragazzino ero un buon portiere non perché avessi una particolare dote. Me la cavavo anche come difensore e poi più in là, nella carriera di oratorio, anche come centravanti ma ero e rimanevo per tutti un buon portiere. Un non talento, se lo eserciti, può diventare una cosa in cui diventi bravo. Ma si vede la differenza tra uno bravo e uno che ha talento. Io preferisco essere uno bravo in tante cose che uno che ha talento in poche, o in una. Non credo sia indole ma una roba di famiglia. Era così mio padre. Si cimentatava in tutto pur non avendo alcuna competenza. Spesso faceva riferimento, in ambito di interventi a livello chimico - ad esempio dover correggere una vinificazione particolarmente aspra - ad un esame di chimica dato il primo anno di università. L’unico esame dato nella sua carriera universitaria abbandonata per poi partire militare. Ricordo interventi di manutenzione ai mezzi agricoli oppure saldature piratesche a cancellate divelte da non so quale urto che tenevano per miracolo, fiumi di silicone per tenere insieme le tubature per irrigare i campi, livelle che non erano mai perfettamente in bolla. Eppure, tutt’oggi, mia madre lo chiama ancora “mani di fata”. Tuo padre sapeva far tutto, dice. E voi non sapete far niente, riferendosi a me e mio fratello.
Vaglielo a spiegare a mia madre che quel “non saper far niente” è la miglior cosa che ci potesse capitare nella vita.